Madonna dell'Umiltà del Latte

Nella chiesa di San Martino a Vespignano, nel comune di Vicchio di Mugello (FI), è conservato un affresco staccato raffigurante la Madonna dell’Umiltà del latte, col Bambino e due Angeli reggi cortina, databile intorno al quinto - sesto decennio del Secolo XV di ignota provenienza. L’affresco compare già nella chiesa di San Martino nel XIX, come si può leggere nella scheda redatta nel 1894 da Guido Carrocci, ispettore per le Antichità e Belle Arti della Toscana.
Il dipinto è attribuito a Paolo di Stefano Badaloni detto Paolo Schiavo (Firenze 1397- Pisa 1478), egli fu attivo a Firenze, Pistoia e Pisa, ma nel Mugello sono conservate altre opere, come a San Piero a Sieve, nel Tabernacolo delle Mozzette,
Il pittore nel 1429 a Firenze si immatricolò all’Arte dei Medici e Speziali; si era formato nell’ambito tardogotico di Lorenzo Monaco. Vasari ci informa che era a bottega da Masolino da Panicale, affiancandolo, nel 1435 circa, nell’esecuzione degli affreschi della Collegiata di Castiglione Olona con Storie di San Giovanni Battista; subì pure l’influenza di Masaccio e in seguito di Domenico Veneziano.  Proprio sull’esempio di Masolino, fu attento alle ricerche spaziali, come si può intuire nelle varie raffigurazioni delle Madonne e in tutte le sue opere successive. Gli vengono attribuite numerosi dipinti tra cui, per rimanere in ambito toscano, eseguì le tavole con Coro di angeli musicanti, Sant'Ansano e San Biagio per un tabernacolo nella chiesa di San Lorenzo a San Giovanni Valdarno, eseguito in collaborazione con lo Scheggia: esecutore della tavola centrale con la Madonna col Bambino in trono e di un'altra tavola con Coro di angeli musicanti: tali dipinti sono oggi nel Museo della basilica di Santa Maria delle Grazie. Di notevole qualità è l'affresco con la Madonna e Santi della chiesa di San Miniato al Monte a Firenze, datato 1436, la cui parte centrale è stilisticamente vicina all’affresco Chiesa di San Martino a Vespignano, Vicchio di Mugello; il Tabernacolo dell'Olmo a Castello, vicino a Firenze (databile intorno al 1447), dell’anno successivo è la Crocifissione mistica di Sant’Apollonia, sempre a Firenze. Nel 1460 esegue sia gli affreschi che la tavola dell’Oratorio delle  Querce a Legnaia-Firenze. Dal 1462 è documentato a Pisa  e proprio nell’anno della sua morte, nel 1478, eseguì  un Crocifisso, ora al Museo di San Matteo.
L’affresco aveva subito numerosi danni in seguito a dilavazione per una infiltrazione dal tetto, e era coperto da un grande strato di sporco accumulatosi nel tempo e per l’effetto delle candele che venivano tenute accese in posizione troppo ravvicinata. Per questo motivo il suo restauro era ormai non procastinabile e si è reso possibile nel 2019, con il pieno sostegno della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per Firenze, Pistoia e Prato, e acquisito il beneplacito dell’Arcidiocesi di Firenze, grazie ad un generoso finanziamento del Banco Fiorentino e della altrettanto generoso contributo di alcune ditte del territorio e degli stessi parrocchiani. Il restauro è stato realizzato da Simone Vettori della ditta ICONOS Restauri di Dicomano, ben noto nel restauro di pitture murali, da poco tornato nel natio Mugello a conclusione dei suoi lavori sugli affreschi della Sala di Costantino nelle Stanze di Raffaello in Vaticano.

L’immagine di Maria che allatta il Figlio raggiungerà l’apice della sua popolarità fra la meta dei secoli XIV e XV, per poi perdersi nei dettami controriformistici. È la più rappresentativa della «sacralità umanizzata», ovvero quella «dimensione religiosa che da una sacralità antica ed aulica giunge alla quotidianità rassicurante della famiglia in crescita, permettendo ed esprimendo nuovi investimenti affettivi del comune sentire» (Berruti, Firenze 2006).

"Stretto al petto di sua madre, il Bambino stacca la boccuccia dal capezzolo per posare il suo sguardo su di noi, mentre con la manina stringe il seno rigonfio di latte che traspare da sotto un candido velo. Maria, invece, pare appena aver alzato la testa, la chioma nascosta dal biancore del tessuto pieghettato e leggerissimo, posando il suo di sguardo un po’ più lontano, assorta. Il gruppo madre-figlio è seduto in terra avvolto dagli ampi panneggi della veste della Vergine con alle spalle e sorretto da due angeli un drappo, una volta sicuramente simile ad prezioso broccato in seta, come nelle raffigurazioni del Beato Angelico. Il pittore ha voluto ulteriormente impreziosire la scena tramite la doratura delle aureole a rilievo; minuscole tracce ne sono state trovate. Come preziosa sarebbe stata l’azzurrite con ogni probabilità impiegata per il mantello di Maria ormai ridotto al solo colore scuro del suo ‘morellone’ preparatorio. Nel realizzare l’affresco di Vespignano intorno al 1440, lo Schiavo punta ad un pieno coinvolgimento del devoto in linea con quel «comune sentire»: lo sguardo del piccolo Gesù, restituito alla sua originalità dopo il restauro, è penetrante, mentre la bianca fasciatura che lo avvolge, tipico della produzione del pittore di quegli anni (vedi la pala del Fitzwilliam Museum, 1440 c.) sottolinea tutta la sua natura di bambino. Le vesti degli angeli, se pur in colori cangianti, hanno perso i vecchi preziosismi sontuosi dando spazio all’ampiezza delle pieghe con maggior equilibrio con le altre due figure. In breve, si è tratti dentro la scena, trascinati dalla veridicità di ciò che si sta manifestando davanti ai nostri occhi. E lo poteva fare solamente un artista attento all’evoluzione in atto, mentre si impone sempre più il Rinascimento di Masaccio e Donatello. L’auspicio è che il cantiere di Vespignano possa contribuire a ulteriori studi negli anni a venire." Jennifer Celani - Funzionario Storico dell’arte per la tutela Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e per le province di Pistoia e Prato

Nella galleria fotografica foto dell'affresco prima e dopo il restaruro